Lab≠ legge il Canto V dell’Inferno

Ott 24

Lab≠ legge il Canto V dell’Inferno

Lab≠ (Laboratorio disuguaglianze) è un gruppo aperto, agerarchico, laico, acategoriale, all’interno del quale vogliamo proporre un’analisi collettiva del linguaggio e dei discorsi al fine di far emergere le complessità di ciò che si dà per scontato.

Il tema di riflessione è sempre aperto, la confusione non è esclusa, non c’è un obiettivo di lotta specifico ma la costruzione di temporanei punti di fuga. Consideriamo uno stimolo l’esperienza situazionista, la fluidità, l’inaspettato, la circolarità.

Il canto quinto dell’Inferno di Dante l’abbiamo riletto e riscoperto con occhi nuovi, ormai adulte, dopo averlo fatto a scuola per la prima volta. Abbiamo realizzato un prodotto che è diventato quasi uno ‘strumento’ per conoscere meglio noi stesse, ognuna nel suo intimo ma in relazione con le altre, aperte al dialogo con l’esterno.

Un ringraziamento va al prof. Christoph Mayer, della Technische Universitaet di Dresda, e all’Italien Zentrum Dresden per averci coinvolto nel progetto ‘Al Dante’ – 100 x 5 Minuten Dantes Commedia

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Massimo Carlotto e i suoi lettori. Intervista

Ago 08

Massimo Carlotto e i suoi lettori. Intervista

Zagor era il suo nome d’arte. Di meglio non gli era venuto in mente quando la produzione del primo film gli aveva fatto notare che chiamarsi Bonamente Fanzago era una pessima idea, almeno nel porno. […] In realtà, chiamarsi Bonamente Fanzago era una pessima idea anche nella vita. Il padre, ma solo al compimento del decimo anno, gli aveva chiesto scusa.

È così che Massimo Carlotto introduce uno dei personaggi nel suo ultimo romanzo, ‘La signora del martedì’. «Bonamente è un nome fuori dal comune. Non ci avrei mai pensato se, durante la presentazione di un mio romanzo, un signore non fosse venuto a chiedermi di firmare la sua copia da dedicare a Bonamente. A sentirlo non riuscii a evitare uno sguardo sorpreso e così mi raccontò della sua vita con questo nome, e anche di suo padre, che, quando lui compì 10 anni, gli aveva chiesto scusa. A quel punto gli chiesi il permesso di usare questa storia in uno dei miei romanzi. E così ho fatto».

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L’utilità della poesia

Gen 13

L’utilità della poesia

«Disegno della tua voce sulla riva del sonno, / scogliere di piuma e quell’odore di costa vicina, / quando gli animali gettati nella stiva, creature di sentina / annusano l’erba e sui ponti s’inerpica un fremito di pelle e di godente furia» (Julio Cortàzar, Naufragios, trad. di Milton Fernández).

Ma perché la poesia è tenuta lontana, come fosse un nemico? Come fosse qualcosa che non ci può appartenere: è difficile, non siamo degni, non è vera. Queste sono solo scuse. Sì che la poesia è vera. Possiamo leggerla e farla nostra. Si può insegnare a scuola, ma è importante sapere che per funzionare le parole dei poeti devono fluire liberamente e senza obblighi tra le labbra e nelle vene. Il nostro corpo reagisce alla poesia prima ancora della mente. I nostri sensi ascoltano, assaporano, vedono le parole. Potremmo riscoprire il nostro corpo attraverso la poesia e toccare quello che la poesia sta raccontando: ci pare di averle a contatto della pelle, le scogliere di piuma, morbide che non ci graffiano ma ci accolgono. Scopriamo – ci ricordiamo – di essere capaci di annusare il profumo dell’erba, quello del mare, e improvvisamente ci rendiamo conto che anche le nostre emozioni hanno un odore. Forse possiamo anche vedere un profilo tracciato nell’aria dal suono di parole che ci toccano nel profondo, così concrete da avere forma.

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