L’utilità della poesia

Gen 13

L’utilità della poesia

«Disegno della tua voce sulla riva del sonno, / scogliere di piuma e quell’odore di costa vicina, / quando gli animali gettati nella stiva, creature di sentina / annusano l’erba e sui ponti s’inerpica un fremito di pelle e di godente furia» (Julio Cortàzar, Naufragios, trad. di Milton Fernández).

Ma perché la poesia è tenuta lontana, come fosse un nemico? Come fosse qualcosa che non ci può appartenere: è difficile, non siamo degni, non è vera. Queste sono solo scuse. Sì che la poesia è vera. Possiamo leggerla e farla nostra. Si può insegnare a scuola, ma è importante sapere che per funzionare le parole dei poeti devono fluire liberamente e senza obblighi tra le labbra e nelle vene. Il nostro corpo reagisce alla poesia prima ancora della mente. I nostri sensi ascoltano, assaporano, vedono le parole. Potremmo riscoprire il nostro corpo attraverso la poesia e toccare quello che la poesia sta raccontando: ci pare di averle a contatto della pelle, le scogliere di piuma, morbide che non ci graffiano ma ci accolgono. Scopriamo – ci ricordiamo – di essere capaci di annusare il profumo dell’erba, quello del mare, e improvvisamente ci rendiamo conto che anche le nostre emozioni hanno un odore. Forse possiamo anche vedere un profilo tracciato nell’aria dal suono di parole che ci toccano nel profondo, così concrete da avere forma.

Chi scrive poesie lavora molto, con rigore, per dare un corpo al suo pensiero. Può trascorrere giorni e giorni di faticosa inquietudine per riuscire a trovare la parola che può rendere ciò che ha in testa. Ma non basta. La parola del poeta deve aprirsi al mondo e diventare altro da sé, altro da lui, con il rischio calcolato di un totale fraintendimento. Ma per la poesia non ci sono indicazioni per l’uso. Le parole del poeta sono anche nostre, e noi possiamo usarle per i nostri sentimenti, per la nostra disperazione, per i nostri amori. Oppure per trovare sollievo o ispirazione. E anche per imparare. «Sospettiamo che il poeta abbia una proprietà miracolosa. Quello che Girri chiamò nei suoi versi “proprietà della magia”, è la proprietà del poeta. E sospetto anche che, tramite quella magia, ci sia dato di capire a che cosa serva un poeta: serve a rovesciarci come un guanto, a farci capire che la poesia è un modo di vivere e di morire, che sul ponte del danno il poeta e la morte si combattono senza tregua», così scrisse Isidoro Blaisten (Para qué sirve un poeta? Trad. di M. Fernández), citando il poeta Alberto Girri, argentino come lui.

I poeti hanno già trovato le parole che ci servono, le hanno rese immagini, e ci danno la possibilità di vedere noi stessi abitare nel mondo, e di farlo nostro, o di trasformarci noi per diventare il mondo, e travestirci da sole, da montagne, da mare. Chi non desidera essere libero di immaginare e di immaginarsi? «Essere il mondo, voglio. Sentirmi / a casa nel cosmo. E le maree saranno / la strada del gonfio cuore. […] E luce voglio. Cosí m’impétalo, che mi spensiero, che rido mentre corro, come la rondine, / mi moltiplico a stelo, gocciolo, mi biforco, / mi alzo e tramonto, mi slargo, mi infaldo, / divento cima e svetto, mi innevo e frano» (Mariangela Gualtieri, Coraggio abbastanza per ogni volo).

La poesia può anche farci ridere, è gioco, ironia «Chi / da una poesia / si aspetta la salvezza / dovrebbe piuttosto / imparare / a leggere poesie. / Chi / da una poesia / non aspetta alcuna salvezza / dovrebbe piuttosto / imparare / a leggere poesie» (Erich Fried, Leggere poesie, trad. di Andrea Casalegno). Con un libro di poesie in mano si scopre sempre (quasi sempre, dobbiamo obbedire alle reazioni del nostro corpo) una nuova bellezza, un diverso mondo di versi nel quale non si riesce a capire sempre esattamente quando sorridere e quando tacere. L’unica soluzione sembrerebbe essere quella di lasciarsi commuovere, di lasciare che l’anima si faccia prendere dal flusso delle parole dei poeti, dalla loro rabbia e dal loro erotismo, dalla loro tenerezza e dai loro giochi.

Lasciarsi andare in flussi, vortici, e poi fermarsi in improvvise soste davanti a un verso che ci colpisce per la sua nettezza e che, incredibile!, è quello che finalmente dice ciò che siamo: «Ho bisogno di poesia / questa magia che brucia / la pesantezza delle parole / che risveglia le emozioni e dà colori nuovi» (Alda Merini, Non ho bisogno di denaro).

 

articolo apparso sul ‘Trentino’ il 12 gennaio 2020

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *