Donne e studio

Ott 17

Donne e studio

Saper riconoscere l’operato di una donna è sempre molto difficile, e lo è per le donne e per gli uomini. Si leggano, a esempio, i titoli dei giornali degli ultimi giorni: le scienziate vincitrici del Nobel per la chimica sono diventate “Thelma e Louise”, quella per la fisica è soprattutto una madre e per la letteratura erano in lizza “Murakami e una donna”. Per spiegare questo fenomeno si indicano vaghe motivazioni ‘culturali’ forse derivanti da questioni psicologiche, insicurezza, complessi di inferiorità, mescolate ai tradizionali stereotipi di genere in cui cadono anche i migliori. A questi motivi si può aggiungere un’abitudine, quasi una tentazione, a limitare le donne in ruoli – in primis quello materno – che si ritiene impediscano il successo in altri ambiti. Per esempio, nello studio.

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Future Ruins 2022

Set 23

Future Ruins 2022

Una finta conferenza stampa per presentare la Biennale di arte contemporanea “Future Ruins 2022”. Finta, sì. Una “falsa” conferenza per denunciare problemi reali, quelli della cultura e in particolare dell’arte contemporanea. Nella Sala delle quattro colonne del Palazzo delle Poste a Trento, sabato 12 settembre, la performance in forma di conferenza stampa istituzionale pensata dal collettivo Museo Wunderkammer (Giusi Campisi e Luca Bertoldi) ha proposto una «riflessione su quei beni culturali che diventano rovina a causa del conflitto tra interessi pubblici e privati, sulle politiche territoriali basate sulla produzione di eventi, che, quando sopravvivono brandizzano la città, e, quando falliscono, lasciano precariato e rovine». Perché al Palazzo delle Poste? Perché il Palazzo è chiuso da 13 anni, da quando è stata smantellata l’esposizione di “Manifesta 7”, la Biennale europea di arte contemporanea che nel 2007 era stata organizzata in Trentino Alto Adige. Grazie al progetto “Atlas curae”, dell’Associazione H2+, curata da collettivo Mavi (Veronica Bellei e Francesca Piersanti), il Palazzo resterà aperto fino al 27 settembre.

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Lo scandalo dei lavoratori della cultura

Set 02

Lo scandalo dei lavoratori della cultura

Laurea, possibilmente con il massimo dei voti, dottorato di ricerca e/o master di specializzazione, tirocini e stage, partecipazione a corsi professionali, conoscenza di almeno due lingue straniere, capacità e competenze informatiche, esperienze di lavoro in Italia e all’estero.

Questo elenco costituisce l’ossatura di un curriculum medio per lavorare nella cultura. Non solo in questo ambito, è ovvio, la differenza è data dall’uso che di questi curricula si fa nel settore culturale.

I laureati, tutti, hanno trascorso quattro o cinque anni della loro vita a studiare per affrontare al meglio il lavoro che li aspetta. Hanno pagato le tasse universitarie e le loro famiglie anche le tasse allo Stato. Hanno investito tempo, energie e denaro. Una volta completato il corso di studi, hanno scoperto che viene richiesta loro una formazione di più alto livello ed ecco nuovi investimenti di risorse personali, e, va da sé, il rinvio di una qualche forma di remunerazione nell’ambito lavorativo per il quale si stanno preparando da anni. Ogni tanto si tira fuori quella sterile polemica sulla differenza degli stipendi tra laureati e diplomati: insomma, senza fare questioni di merito, direi che il motivo è oggettivo. E comunque, queste grandi differenze non ci sono più da tempo, specie nel pubblico, specie nell’ambito culturale.

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