C’è posta per Scripty
Mar 27

Ecco di nuovo a voi Scripty Manent, l’avventurosa studiosa della scrittura, che conscia della nostalgia di lei che tutti abbiamo avuto (…), ci manda una simpatica lettera ricevuta recentemente.
Gentile Scripty,
con questa mia vengo a disturbarla, in seguito al fatto che il mio propronipote è a scuola con suo figlio e mi ha raccontato della sua passione per la scrittura della gente.
Ma lo sa che conservo decine, centinaia di quaderni pieni zeppi di canzoni? Perché io ho scritto canzoni per tutta la vita e soprattutto, non ho fatto altro che cantare. Ma lo sa quando sono nato io? Il 1 gennaio del 1900! Ma sono ancora arzillo, eh!?
La mia prima canzone l’ho scritta che ero piccolo. Sui miei quadernetti neri copiavo quelle che mi piacevano e quelle che inventavo: «Il lombrico sopra il fico alza il dito e dice ‘IO! Vi racconto una storia imparata a memoria che fa proprio così’», ma non ha avuto un grande successo a parte il fatto che quando dicevo ‘IO!’ balzavo in piedi con la mano alzata e tutti ridevano.
Per rifarsi le orecchie mi facevano cantare alcune canzoni napoletane che piacevano tanto alla zia che una volta era stata a Procida e che mentre ascoltava chiudeva gli occhi a godersi i ricordi.
Invece il mio papà mi aveva insegnato «Mamma mia dammi 100 lire che in America voglio andar», e quando l’ho fatta leggere a mio fratello grande ho scoperto che era la canzone di gente povera che emigrava per cercare fortuna.
Ma lei le conosce queste canzoni? No, perché sennò gliele canto, senza complimenti.
Intanto che crescevo ho capito che dovevo smettere di pensare ai lombrichi e così cominciai a parlare d’amore: «Amore mioo, non andare viaa, per sempre miaa dovrai restar». Ma la mia fidanzata diceva che le faceva venire l’orticaria, allora le cantavo una nenia dolcissima, in romanesco: «Nina si voi dormite, sognate che ve bacio, che v’addorcisco il core cantando adacio adacio». Gliela canto ancora, alla mia Nina, con tutto il mio amore.
Con la mamma facevamo balli indiavolati in cucina, tra pentole e ragù cantavamo allegri «E Pippo Pippo non lo sa, ma quando passa ride tutta la città», oppure «Ho un sassolino nella scarpa, ahi! Che mi fa tanto tanto male, ahi!». Lei balla? No perché dopo che gliele ho cantate, la porto in discoteca.
Io che le guerre le ho fatte tutte e due, con i miei compagni ci scambiavano un sacco di canzoni, qualcuna l’abbiamo inventata insieme. Ma lo sa che i capi usarono questa nostra abitudine per prenderci in giro? Dicevano: «Hai freddo e fame? Canta che ti passa. Hai paura? Canta che ti passa». Ma s’immagina come potevamo sentirci noi?! Non ho mai voluto neanche fischiettare canzoni fasciste, mentre ancora canto a squarciagola «Bella ciao», che sono stato anche partigiano. L’ho anche scritta su uno dei miei quaderni, così anche i miei propronipoti possono leggerla e cantarla insieme a me.
Nel frattempo avevo sposato la mia Nina e avevo dei bei bambini. Dopo la guerra con loro non abbiamo perso neanche un festival di Sanremo.
Ho anche mandato una canzone: «Finché la barca va, lasciala andare, finché la barca va, tu non remare». Nessuno mi ha risposto, ho pensato che neanche questa era piaciuta, e poi, ma non l’ho sentita cantare da una certa Orietta Berti?! Me l’avevano rubata! E per protesta non ho più guardato Sanremo.
Mi piaceva tanto quel cantante, il Giorgio Gaber, che in certe giornate grigie preferiva farsi uno sciampo («scende l’acqua, scroscia l’acqua, calda, fredda, calda.. giusta»), e guarda tu il caso, io ne avevo scritta una sul bagno con la schiuma. Mi pare che sia nel quaderno nr. 344. E quando Francesco Dequalcosachenonmiricordo canta: «La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere», ma lei non si emoziona?
E tanti auguri per una serena Pasqua!
Suo, con tutto il canto
Girolamo Trillante