Sospesi nel cielo. Nona puntata

Apr 05

Sospesi nel cielo. Nona puntata

Con quella lettera stretta nel pugno, Clara cercava di fare respiri profondi, come le aveva detto di fare il dottore quando avvertiva un peso sul petto. Alda la vide. “Stai male? Che succede? È di Giulio?”

“No, mamma, è una lettera di don Felice. È la prima volta che mi scrive apertamente della situazione a ** ed è straziante. La vita dei profughi in quei maledetti campi di baracche è difficile e quella povera gente ha solo i parroci ad aiutarli. Non c’è da mangiare, hanno freddo. Guarda”, disse porgendole il foglio.

Cara Clara,

ti conosco da quando eri bambina e le tue lettere sono un grande conforto per me. So bene che sarebbe mio compito proteggere e consolare il tuo cuore, con i tuoi cari lontani, ma qui la situazione mi fa disperare.

I soldati austriaci che ci hanno mandato via dalle nostre case avevano detto che lo facevano per la nostra sicurezza e che saremmo rientrati dopo qualche mese. Non dovevamo fidarci, siamo qui da più di un anno e chissà per quanto tempo ancora dovremo restare. La maggior parte di noi ha gli stessi abiti della partenza. A maggio era caldo, ma qui stiamo soffrendo un freddo senza scampo. E la fame.

Non si trova un chilo di farina gialla, farina bianca se ne trova ben poca per cui molti hanno tessere e tessere e non ricevono farina, sono varie settimane che non mangiano che patate a pranzo e cena e se la dura così oltre che morir di fame i miei poveri profughi perderanno la fede e la pazienza, poiché anche le parole di Dio a pancie raggrinzite dalla fame (sit venia verbo) non porta frutto. Alcuni di loro diventano cattivi, sfiduciati e perdono la stima nei confronti di noi parroci. Tutto è sulle nostre spalle.

Perdona questo sfogo ma pure ti chiedo un aiuto di sollecitare il Comitato d’assistenza per mandare altre coperte, e abiti pesanti, se possibile dei soldi e carta, per scrivere.

Saluta la tua mamma, conservatevi nell’amore di Dio Padre.

Don Felice

“Ci penso io – disse Alda – andrò io al Comitato, c’è Maria che lavora lì e le chiederò di sveltire le pratiche per i pacchi destinati alla Boemia”.

“Posso farlo …”. “No – interruppe subito l’obiezione di sua figlia – lo faccio io. Ho pensato a lungo in questi giorni e ho deciso di non partire con te”. “Mamma!”

“Voglio restare qui – proseguì Alda senza guardarla ‒ Non mi sento di abbandonare la nostra casa. Sei stata tu a dirmi che i nostri compaesani lontani hanno bisogno di essere aiutati da noi, dai loro vicini e parenti. E poi i ragazzi potrebbero tornare dal fronte e qualcuno deve pur restare per accoglierli”. Clara l’abbracciò forte. Mai le abbandonava il pensiero di Giuseppe in Galizia. Clara sentiva tanto la mancanza del fratello e sapeva che sua madre non riusciva a dormire nell’attesa di una lettera che non arrivava mai.

“E poi devi prepararti per la partenza – Alda cercò di ricomporre la sua voce – tuo figlio e tuo marito hanno bisogno di te e devi andare”.

“Ma io ho bisogno di te, mamma – Clara aveva cominciato a piangere. “Non devi piangere, bambina mia. Mi troverai al vostro ritorno. Finirà questa maledetta guerra, prima o poi! E sarò qui ad aspettarvi, ah, non aver dubbi! Ma voglio restare. È giusto. E se tornasse Giuseppe… Lui avrà bisogno di me più di chiunque altro”.

Poi la guardò e con le dita che un poco tremavano, le asciugò le lacrime. “Che cosa ha scritto Giulio nell’ultima lettera? Hanno fissato una data per il tuo viaggio?”.

La voce s’era fatta più ferma. Non era il suo cuore a essersi placato, ma doveva, voleva mostrarsi salda davanti a sua figlia. Così fanno le madri, spesso.

“Nell’ultima lettera Giulio diceva che avrebbe chiesto ai suoi amici di affrettare la mia partenza – disse Clara tra gli ultimi singhiozzi – Mi pareva preoccupato, non so, forse era solo una sensazione, o solo paura”.

“Già, paura … – l’accarezzò ancora sua madre – Solo paura e rabbia abbiamo in corpo. La nostra anima si strappa, tirata da una parte dalla paura e all’opposto dalla rabbia. Ma tu, voi che avete anche l’amore, avete la speranza”.

“Anche tu hai amore, mamma. Lasciami insistere perché tu venga con me, ti prego – Clara le prese le mani tra le sue – Capisco la tua volontà di restare, di aiutare gli altri e di rimanere ad aspettare Giuseppe, ma qui potresti essere in pericolo. Ti prego”

“Tutti siamo in pericolo, allora dobbiamo cercare di stare dove è giusto. Dobbiamo almeno tentare”.

L’abbracciò ancora e poi uscì, per andare a organizzare gli aiuti a don Felice e ai profughi. Maria accolse la sua amica e strinse tra le braccia lei e il suo dolore.

 

Fausto Pirandello, Composizione (Siesta rustica), 1924-26

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