Il comune senso dell’onore

Set 15

Il comune senso dell’onore

Prima che Roma diventasse la capitale dell’impero, grandi uomini, con il loro esempio, posero le basi della sua potenza. Così riportano gli storici dell’epoca, e tra questi Tito Livio, che raccontò anche la storia di Lucrezia. O meglio, quella di Bruto. Non il Bruto uccisore di Cesare, ma l’amico di Collatino, con il quale fu console di Roma dopo la cacciata dell’ultimo re, nel 509 a.C.

Collatino era il marito di Lucrezia. Livio narra come, un giorno, Collatino e Bruto si intrattenessero nella tenda del re Tarquinio (detto il Superbo, ultimo re di Roma). Dopo molti boccali di vino, gli uomini cominciarono a discutere su chi dei presenti avesse la moglie migliore, cioè se quella stava davvero, in loro assenza, chiusa in casa a badare alla faccende e ai figli. A quei tempi, tale condizione si chiamava virtù e faceva la differenza per la rispettabilità di ogni uomo.

Quelli, dunque, decisero di organizzare delle incursioni, come in battaglia, per cogliere di sorpresa le loro donne. Tutte erano in casa, effettivamente, ma a gozzovigliare con le amiche, dice Livio, tranne una, Lucrezia, trovata a filare la lana. Collatino incassò la scommessa. Lucrezia, oltre che modesta e virtuosa, era anche bellissima, e fu così che Servio Tarquinio, figlio del re, tornò a casa di Collatino mentre questi era assente. Egli fu accolto con ospitalità, ma durante la notte entrò nella camera di Lucrezia e con un coltello puntato le svelò la sua passione. Lei gli negò anima e corpo, e fu allora che Servio minacciò non solo di ucciderla ma anche di disonorarla, perché accanto al suo cadavere avrebbe messo uno schiavo nudo dopo averlo sgozzato, perché si dicesse che era stata uccisa per un vergognoso adulterio.

Lei cedette. Il giorno dopo, Lucrezia fece chiamare il padre e il marito, il quale era con l’amico Bruto, per raccontare che cosa le fosse successo. Davanti a loro si pugnalò, perché ormai il suo onore era perso.

Bruto si mise alla testa di un esercito, raccolto tra coloro che erano stanchi di Tarquinio e che, fra le tante motivazioni, misero anche la vendetta per la morte della donna. Il Superbo venne cacciato e, con lui, la sua famiglia.

Bruto venne celebrato da Tito Livio, e da coloro che raccontarono la sua storia, come l’eroe che liberò Roma e vendicò, tra l’altro, anche l’onore perduto di Lucrezia.

Il Dizionario Treccani dice che l’onore è “la dignità personale in quanto si riflette nella considerazione altrui”. Tenere alta la propria reputazione è uno dei problemi che affligge l’umanità. La reputazione e l’onore, che è anche “il valore morale, il merito di una persona, non considerato in sé ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima e al rispetto altrui”, sono l’immagine di sé che si offre alla comunità in cui si vive per poter essere accettati.

Parliamo di questa ‘immagine’. Lucrezia era stata offesa e violentata, ma era la sua reputazione a essersi macchiata. All’inizio del V secolo, sant’Agostino di Ippona, vescovo e teologo, scrisse il De civitate Dei (La città di Dio), opera molto importante. Tra queste pagine, volle dedicare una riflessione anche a Lucrezia e si chiese se davvero era stata Lucrezia l’adultera, lei che aveva subito la violenza. Si chiese perché era stata la donna a negare la propria vita, mentre Servio era stato solo cacciato. E si chiese anche se davvero si dovesse considerare un grande uomo Bruto, che, sempre in nome dell’onore, fece uccidere i suoi figli accusati di tramare per il ritorno del re. Bruto, che poi governò Roma.

Che significato bisogna dare alla parola ‘onore’? Chi può decidere del valore morale di una persona? Che cosa dev’essere valutato come onorevole o vergognoso? Quali sono i criteri per giudicare una reputazione? Forse la rettitudine, o il senso del rispetto per le persone e per le istituzioni. Forse la coerenza, oppure la moralità. Di certo, non dovrebbe essere considerato il genere: tra donne e uomini, è noto, non vi è differenza di fronte alle questioni di principio. È così, no? Reputazioni troppo cristalline, comunque, non sembrano essere del tutto ‘utili’. Come disse un saggio, senza la libertà di sbagliare, non ci sarebbe spazio per gli elogi.

 

articolo apparso sul ‘Trentino’ il 26 settembre 2019

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