Letture per l’estate: Epepé di Ferenc Karinthy

Lug 24

Letture per l’estate: Epepé di Ferenc Karinthy

Nella migliore delle tradizioni, l’ultimo post dell’estate è dedicato a un libro da leggere in attesa delle nuove storie e delle nuove interviste. È ormai inutile che ricordi a voi lettori che le mie sono recensioni finte, ma rappresentano solo un modo per condividere letture coinvolgenti, interessanti e strane.

Ecco, questa proprio non posso fare a meno di raccontarvela. Ero lì che chiacchieravo con un amico e lui mi dice devi leggere assolutamente Epepe, o Bebe o chissà come…

E io, sciocca che insistevo a chiedere il titolo esatto, e lui, sempre, ‘ah, vedrai..’

E ho visto. Anzi, ho letto un libro bellissimo, troppo coinvolgente per cadere nell’angoscia che pure sembra provocare, troppo affascinante per permettere di lasciarlo di colpo, con la schiena sudata dallo straniamento cui potrebbe condurre.

Un linguista ungherese, il professor Budai, deve andare a Helsinki per tenere una relazione al congresso di linguistica. All’aeroporto di Budapest sbaglia uscita, sale su un volo diretto altrove, e scende in un luogo ignoto: si accorge di non essere a Helsinki solo quando arriva in città.

Budai non può parlare con nessuno. L’unica persona con cui instaura un qualcosa che possa essere definito un contatto umano e da cui cerca di imparare almeno alcune parole di quella lingua, è la ragazza dell’ascensore, Epepe, sempre che sia davvero quello il suo nome perché lui non è sicuro di capirne la pronuncia.

Lo studioso che è in lui non vuole mollare e prima di lasciarsi trascinare da quella vita, come sembra facciano tutti, in quella città, lavora con disperazione e fatica nell’inutile tentativo di individuare in questa lingua (ma è una lingua? sono parole?) almeno un criterio per poter comprenderla (interessantissimo esempio di metodo di studio…), lui che conosce decine di lingue tra quelle in uso  e quelle antiche.

E quando stremato decide di uscire dalla sua stanza d’albergo, viene travolto da una fiumana di persone che non ha alcun rispetto, che lo spintona, che lo trascina. Troppe persone troppa confusione troppi interrogativi. Ne cerca il motivo, il meccanismo, che però non riesce a trovare. Si rifiuta di adattarsi a questo, ma poi? Come potrebbe vivere? è davvero questo il suo destino?

Le sue vicissitudini lo portano a incrociarsi con un uomo che in ungherese gli dice ‘anche lei qui’, ma le scale mobili sulle quali si sono incrociati vanno nelle direzioni opposte. Quell’incontro rimarrà un mistero.

Quando viene cacciato dall’albergo perché non ha più denaro, si trova a dover lottare per la sua sopravvivenza, e non solo, ma mai abbandona l’idea di dover andare via, di tornare dalla sua famiglia, di abbandonare quel luogo di ‘follia’ che lui non riesce a capire nemmeno nelle relazioni più banali.

E poi un giorno, mentre riposa in riva a un lago la vede, quella foglia che si muove seguendo la corrente, e che da quel momento diventa la ‘sua’ corrente.

Impossibile staccarsi da questo libro, con i suoi inaspettati e inverosimili colpi di scena, il cui unico fil rouge è dato dalla determinazione di Budai di tornare a casa.

Una lettura, apparentemente ripetitiva, ma formicolante di spunti di idee di pensieri molesti eppure quasi positivi (un contro-senso? un non-sense?), forse a dimostrare che la nostra esperienza e il nostro sapere sono in grado sempre (o quasi) di portarci, seppur con difficoltà, là dove vogliamo.

 

Ferenc Karynthy, Epepe, Milano, Adelphi, 2015 (Fabula)

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