A scuola! Le voci dei bambini
Set 18

«Cara mamma, ieri mi è arrivato il bel libro che voi, sempre buona con me, mi avete mandato. Ne lessi già qualche pagina, ma è veramente bello. Io studio con amore, e quando sento di far fatica, allora penso a voi mia dolce e buona mamma e mi faccio animo».
Cominciano le lezioni a scuola. La maggior parte dei bambini e dei ragazzi (specie da una certa età in poi…) non è proprio entusiasta del ritorno in classe, anche se poi tutti trovano il lato positivo, o almeno una forma di equilibrio, se vogliono arrivare fino a giugno in uno stato psicofisico discreto. E il piccolo Vittorio, nel 1907, scrive alla mamma che sarà il pensiero di lei e il libretto avuto in dono a dargli la forza di affrontare la fatica.
È difficile trovare i testi dei bambini vissuti nei secoli precedenti all’Otto-Novecento: non erano considerati importanti, degni di essere conservati. Ciò che si è salvato si deve alla casualità o all’importanza della famiglia cui si apparteneva, o alla
straordinarietà con cui alcuni bambini erano capaci
di esprimersi, come nel caso di Antonio Stefano Cartari, che, a dire il vero, apparteneva a una famiglia di censo elevato di Roma ed aveva anche una grande padronanza delle sue capacità scrittorie e non solo, se a soli 11 anni poté cominciare a scrivere le sue Memorie curiose, annotando tutto ciò che vedeva e ascoltava intorno a lui.
A scuola si imparavano le buone maniere, a recitare le preghiere nel corso della giornata, e anche a leggere e a scrivere.
Era tutto molto faticoso, tutto terribilmente serio e le punizioni corporali erano all’ordine del giorno.
Con molta, molta fatica i bambini, spesso abituati al dialetto casalingo, si adattavano all’italiano: «Cari genitori qua addeso nel convitto tutti i giorni i superiori si rabbiano sempre di più, perche dicono che non si parla in gramatica ed io mi pare di parlare più bene che
posso».
Per non parlare del latino, ritenuto determinante per una buona educazione scolastica, che però il figlio di un negoziante di Lione, in Francia, per esempio, proprio non sopportava. In una lettera del 1785 ai genitori scrisse: «Vi confesso che proprio non ho nessun gusto per il latino. Battetemi, fatemi tutto quello che volete, io non posso restare qui». Di questo disperato tentativo sappiamo perché suo padre, arrabbiatissimo, decise di rispedirla al maestro, e non oso pensare con quante versioni di latino sarà stato punito.
Oltre agli esercizi sul sillabario, a volte i bambini più grandi per esercizio preparavano libretti di lettura per i piccoli, e glieli dedicavano: «Caro Bruno, io ti regalo questo bel libriccino. Sarai contento, nevvero? Quando raccoglierai le mele me ne darai un pezzetto, nevvero? Quando lo avrai dirai: Grazie, Faustina. Sono la tua compagna Faustina»
Non troppo tempo fa, finalmente i maestri (e di maestri parleremo ancora …) capirono che scrivere un diario avrebbe aiutato i bambini a crescere. Per questo, però, la scrittura doveva essere libera: solo scrivendo senza regole e controlli i propri pensieri i bambini potevano davvero comprendere se stessi. Certo, qualche volta i maestri li leggevano, ma non per correggere o punire, solo per controllare se quei bambini stessero bene.
Funzionò così bene l’idea che alcuni bambini, in classe, il diario lo tennero di nascosto. Nel 1935 Saverio, che aveva 12 anni, decise di tenere sotto il banco un quaderno: «Questo diario lo faccio in classe e spero che il professore non me lo scovi. Il professore è alto con due piccoli occhi e dice sempre “vero?” a ogni parola; noi ci divertiamo a contarli e dopo scriverò il risultato. … Ha detto 270 “vero?” un vero record!».
**Queste e altre piccole storie le troverete nel libretto Datemi una penna. Le scritture a mano dopo l’invenzione della stampa, Milano, Carthusia edizioni, 2015 (Racconti con le ali, 13), ma sarà possibile ascoltarle anche nel corso del laboratorio Leggere, scrivere e fare di conto. Libri e scolari nella storia della scuola che quest’anno terrò presso la Biblioteca diocesana-Vigilianum di Trento, dove si parlerà di maestri e allievi, libri e quaderni, ma soprattutto dell’emozione e anche – bisogna ammetterlo – della fatica di imparare.
*** Il Saverio che si diverte a prendere in giro il suo maestro è Saverio Tutino, che fu giornalista e scrittore, partigiano, e anche il fondatore dell’Archivio dei diari di Pieve S. Stefano