Lo scandalo dei lavoratori della cultura

Set 02

Lo scandalo dei lavoratori della cultura

Laurea, possibilmente con il massimo dei voti, dottorato di ricerca e/o master di specializzazione, tirocini e stage, partecipazione a corsi professionali, conoscenza di almeno due lingue straniere, capacità e competenze informatiche, esperienze di lavoro in Italia e all’estero.

Questo elenco costituisce l’ossatura di un curriculum medio per lavorare nella cultura. Non solo in questo ambito, è ovvio, la differenza è data dall’uso che di questi curricula si fa nel settore culturale.

I laureati, tutti, hanno trascorso quattro o cinque anni della loro vita a studiare per affrontare al meglio il lavoro che li aspetta. Hanno pagato le tasse universitarie e le loro famiglie anche le tasse allo Stato. Hanno investito tempo, energie e denaro. Una volta completato il corso di studi, hanno scoperto che viene richiesta loro una formazione di più alto livello ed ecco nuovi investimenti di risorse personali, e, va da sé, il rinvio di una qualche forma di remunerazione nell’ambito lavorativo per il quale si stanno preparando da anni. Ogni tanto si tira fuori quella sterile polemica sulla differenza degli stipendi tra laureati e diplomati: insomma, senza fare questioni di merito, direi che il motivo è oggettivo. E comunque, queste grandi differenze non ci sono più da tempo, specie nel pubblico, specie nell’ambito culturale.

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Un problema di cultura

Lug 10

Un problema di cultura

Nel senso che di questa parola, ‘cultura’, credo che sfugga il vero significato. Eppure viene invocata quotidianamente. La cultura. Moltissimi, a volte involontariamente, addirittura la praticano, con totale sprezzo del pericolo. Altri ne diffidano, perché si pensa che la cultura (altrui) metta in evidenza il proprio non-sapere e anche, più spesso, perché chi dice di fare cultura ritiene di essere superiore .

Vorrei riflettere sul significato di questa parola. Poiché da più parti si continua a ricordare che le parole sono importanti – e sono d’accordo su questo – vorrei riflettere sui significati di alcune parole in particolare. Ho pensato che il primo termine su cui ragionare sarà ‘cultura’ (alla parola ‘intellettuale’ dedicherò il prossimo post).

Che cos’è la ‘cultura’? Il vocabolario (Sabatini-Coletti) dice: «Insieme delle conoscenze letterarie, scientifiche, artistiche e delle istituzioni sociali e politiche proprio di un intero popolo, o di una sua componente sociale, in un dato momento storico». Di un intero popolo: siamo quindi noi tutti, senza esclusione, a produrre cultura. Ma cultura è anche: «l’insieme di conoscenze su cui l’individuo esercita una riflessione critica autonoma e che pertanto hanno parte attiva nella formazione della personalità e nell’affinamento delle capacità ragionative». Queste conoscenze, e anche la capacità di una riflessione, l’individuo le apprende in famiglia, in gran parte a scuola, e poi, nel corso della sua vita, le consolida, le raffina, le approfondisce oppure le trascura, le sottovaluta, le butta via. Tutto questo è il risultato della scelta, più o meno consapevole, rispetto a ciò che si vuole fare del proprio talento e delle proprie potenzialità.

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Cultura bene comune: 11 ottobre 2018

Ott 08

Cultura bene comune: 11 ottobre 2018

Memoria e creatività: l’identità del Trentino

Confronto tra professionisti della cultura

La conoscenza, diritto inalienabile di tutti cittadini, e la cura del patrimonio culturale di una comunità – ovvero la cultura intesa quale bene comune – si esprimono tanto nella conservazione e tutela di beni, quanto nel coraggio della creatività.

Attorno ai temi della memoria, della creatività e dell’identità, ma soprattutto della partecipazione dei cittadini, un confronto aperto tra professionisti della cultura:

 

Giovedì 11 ottobre ore 18.00

Sala della Sosat, via Malpaga 17, Trento

 

PromuoveAndrea Robol, già Assessore alla Cultura del Comune di Trento e candidato alle Provinciali del 21 ottobre 2018

Intervengono:

Giusi Campisi (artista e Presidente dell’Associazione Culturale Tiring House, Trento)

Veronica Cicolini (Vicepresidente dell’Associazione di promozione sociale Mulino Ruatti, Rabbi)

Lorenza Pamato (Docente scuola media superiore, Trento)

Adriana Paolini (Libera professionista nel settore dei beni librari e archivistici)

Nadia Pedot (Docente del Master in Archeologia criminale e crimini contro il patrimonio culturale, Viterbo)

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Bibliotecari a ogni costo! Intervista con Valentina Mancini

Mar 05

Bibliotecari a ogni costo! Intervista con Valentina Mancini

Vi presento Valentina Mancini

“Mai avrei pensato oggi di trovarmi qui a raccontare la mia “storia da bibliotecaria”, perché, in verità, la scelta di questa strada è stata un vero e proprio salto nel vuoto!”. Valentina si diploma come Tecnico della grafica pubblicitaria, ma viene spronata a continuare gli studi finché un bel giorno ha trovato il suo spazio nei beni librari.

 

La passione per questo mestiere quando l’hai scoperta?FotoValentina

L’amore per questo mestiere è nato piano, ma è cresciuto nel tempo, anche grazie al prof. Mauro Guerrini che mi ha trasmesso la passione per la biblioteconomia. Nel 2014 sono diventata bibliotecaria a tutti gli effetti con la laurea in Scienze Archivistiche e Biblioteconomiche. Anzi, per dirla tutta, sono diventata bibliotecaria “su carta”.

Le vere motivazioni che mi spingono, ancora oggi, a lavorare per diventare una bibliotecaria sono molteplici, ma quella che considero fondamentale è che la biblioteca è quel luogo ricco di tutti i saperi e dove tutti sono uguali, dove non c’è discriminazione, una sorta di zona franca, dove tutti posso entrare liberamente e godere del sapere dell’umanità, contro le barbarie del mondo. E io sono quella figura (il bibliotecario) che rende possibile questo libero accesso alla conoscenza. Lo so che sembro una “paladina della giustizia” ma questa è la mia visione del “bibliotecario” che ahimé come tutti sappiamo, oggi non è sempre visto così.

Comincia dunque il tuo percorso nel mondo delle biblioteche. Un percorso, però, non proprio lineare, mi pare…

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Navigatori solitari. Intervista con Erika Vettone

Nov 06

Navigatori solitari. Intervista con Erika Vettone

Vi presento Erika Vettone

Filosofa di ‘nascita’, si è dedicata all’archivistica fin dalla sua prima esperienza lavorativa (non retribuita), guidata da un appassionato funzionario del Comune di Santa Maria Capua Vetere. È una libera professionista per scelta e non vorrebbe essere niente di diverso, nonostante tutto.

Ha una collezione ancor piccola ma colorita, di altrui reazioni, verbali e non, all’affermazione “per lavoro faccio l’archivista”:

a) Archi..cosa?

b) E perché hai deciso di buttare la tua laurea nel …?

c) Aaaah, ho capito, è sempre un fatto politico!

 

Dopo anni di studi filosofici, perché gli archivi?erika

Un anno prima della laurea, ho iniziato ad interessarmi concretamente al percorso formativo di archivisti e bibliotecari, scoprendo l’esistenza delle scuole di archivistica.

Appena laureata, ho cominciato a collaborare come volontaria presso l’Archivio comunale di Santa Maria Capua Vetere, grazie al suggerimento che il dirigente comunale responsabile sia dell’Archivio che della Biblioteca comunale mi diede, indirizzandomi verso quello che sarebbe stato il mio percorso futuro. Nella vita di ognuno ci sono i momenti in cui scegli e quelli in cui qualcuno, a volte inevitabilmente, sceglie per te. In questo caso, se mi guardo indietro, posso solo ringraziare.

Qualcuno tempo fa mi ha detto che i laureati in filosofia sono come i topi, si nutrono di quello che trovano, e voleva essere un complimento; dell’archivistica e delle sue applicazioni informatiche trovo particolarmente interessante la riflessione sulle strutture concettuali (attività tipica in fase di riordinamento di un archivio o nell’analizzare e sviluppare un software). L’esperienza di qualche anno di mestiere e di confronto, ha rafforzato in me l’idea che tale inclinazione abbia a che fare con la mia formazione filosofica.

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