Povera Cappuccetto Rosso: perché si proibisce un libro

Mar 13

Povera Cappuccetto Rosso: perché si proibisce un libro

Dopo il post sul laboratorio Storie di libri, qualcuno mi ha chiesto che cosa racconto ai bambini sui libri proibiti.È chiaro che essendo relativamente piccoli, non entro troppo nei dettagli storici ma di certo voglio che sappiano che i libri, cioè le idee, possono provocare reazioni che nemmeno immaginano. Lo hanno fatto nel passato e lo fanno ancora oggi. L’esempio che uso di più è quello di Cappuccetto rosso, che tutti conoscono, bandito da alcune biblioteche americane per la presenza della bottiglia di vino nel cestino da portare alla nonna, che si ritiene istighi all’uso di alcool. Recentemente ho scoperto che in Francia ne è stata chiesta la censura perché considerata sessista. Di solito i bambini e i ragazzi restano esterrefatti e mostrano tutta la loro indignazione, cosa che dovremmo fare tutti a leggere dei libri, cioè delle idee, che ancora oggi vengono proibiti e del perché…

Nel 1982, in risposta a un improvviso picco nelle censure nei confronti dei libri da parte di istituzioni scolastiche, biblioteche e librerie, venne organizzata la prima edizione della Banned Books Week, la “settimana dei libri censurati” che da allora, ogni anno, la American Bookseller Association organizza con l’American Library Association (l’associazione delle biblioteche negli USA), con l’associazione degli editori Association of American Publishers e altre realtà. Tra le più frequenti motivazioni di censura dei libri ricorrono quelle di carattere sessuale o razziale, quelle legate alla liceità del linguaggio, infine quelle giustificate dall’inadeguatezza dei volumi per certe categorie di lettori, come per esempio i bambini. Sono migliaia i titoli che negli anni, almeno una volta, sono stati rimossi dagli scaffali delle biblioteche o banditi dalle scuole.

Negli USA come nell’URSS, dunque, dove negli annBoris Pasternaki del potere sovietico l’elenco dei libri interdetti alla pubblicazione (a volte anche alla conservazione) era enorme: dalle opere straniere al Vangelo, alle poesie di autori russi, come Boris Pasternak e Josif Brodskij e le prose di Solženicyn, Šalamov, Evgenija Ginzburg, Venedikt Erofeev. Per non parlare degli articoli dei giornalisti che ancora oggi hanno enormi difficoltà a esprimere un’idea che solo si avvicini a un dissenso, che hanno spesso pagato con la vita.

In Arabia Saudita sono stati recentemente proibiti, per esempio, tutte le opere del poeta palestinese Mahmoud Darwish, ree di contenere “messaggi blasfemi” che “violano le norme del Regno”,  come ha puntualizzato il Ministero saudita della Cultura. Tra i volumi sequestrati ci sono la Storia dell’Hijab (il velo che incornicia il viso) e Il femminismo nell’Islam, ma anche Quando potranno guidare un’auto le donne saudite?, dello scrittore Abdullah al-Alami. Un altro titolo illegale è quello di Revolution, scritto dall’attivista egiziano Wael Ghonim, in prima linea durante la rivoluzione che ha deposto il presidente Hosni Mubarak nel gennaio del 2011.

Un elenco trasversale, da oriente a occidente, colpisce a volte i medesimi libri. Tra questi c’è senz’altro la saga di Harry Potter, che è bandito negli Emirati Arabi ma che accusato di propagare la magia nera ha turbato anche gli evangelici americani, e lo stesso Benedetto XIV, che ha riaperto l’Indice dei libri proibiti per inserirlo. C’è Persepolis di Marjane Satrapi, che oltre al visto Persepolisd’espulsione dall’Iran (il Libano lo ha da poco riabilitato) vanta quello richiesto dalle scuole dell’Oregon per il linguaggio duro e le torture. C’è Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, inviso ovviamente al suo Afghanistan ma denunciato anche dai genitori del Wisconsin per la violenza. Ci sono Cinquanta sfumature di grigio di E. L. James con i suoi «contenuti pornografici»; Diario assolutamente sincero di un indiano part-time, troppo «osceno e «anti-cristiano» per l’Idaho; The Hunger Games (giudicato anti-etnico e anti-famiglia) e alcuni titoli della Nobel Toni Morrison come L’occhio più azzurro, contestato in Colorado per i riferimenti espliciti a incesto, stupro, pedofilia. E Mark Twain è ancora considerato pericoloso.

Liste di libri ritenuti sconvenienti sono sempre circolati, anche prima del Concilio di Trento e dell’istituzione ufficiale dell’Indice dei libri proibiti nel 1564. Chi riteneva di sentirsi offeso da un testo o colui che si ergeva a paladino della moralità da sempre ha sentito il bisogno di proteggere i suoi simili. Poco importa se quei libri non fossero mai stati letti ma che fossero rei di avere un titolo non particolarmente chiaro. Anche la letteratura, alfine, entrò negli Indici a partire dal 1559. Fino ad allora, s’erano verificate solo singole condanne, come per Antonio Beccadelli, detto il Panormita, il cui Hermaphroditus, scritto negli anni venti-trenta del XV secolo, venne bruciato nelle piazze per secoli (…). Già dal 1471 con la pubblicazione del testo biblico di Nicolò Malerbi c’era il problema delle bibbie in volgare non verificate e accettate (a volte solo tollerate) dall’autorità ecclesiastica.

Nell’Indice tridentino del 1564 sono presenti 1012 nomi di autori e opere proibite (immaginatevi i pratici problemi dei librai che non avevanocensura più libri da vendere…).
L’indice dei libri proibiti venne abolito nel 1966, chiuso da Paolo VI, che in realtà lo fece diventare una lista di libri fortemente sconsigliati che restava moralmente impegnativa per i cattolici. Ora
è diventata una sorta di guida bibliografica a uso interno curata dall’Opus Dei, ordinata all’interno di sei categorie.

Dunque i libri si proibiscono per non diffondere idee ritenute sconvenienti, offensive o pericolose, per ‘difendere’ i più deboli o per creare le condizioni per introdurre (o stroncare) dibattiti teologici o politici ritenuti importanti. Per chiudere questo breve post, pensiamo alla lista dei 49 libri proibiti dal sindaco di centrodestra di Venezia Luigi Brugnaro, al grido di “Via i libri gender dalle aule di Venezia”, libri che per generazioni non abbiamo mai vissuto come ‘gender’, ma come fonti di sorrisi, tenerezze e soprattutto di insegnamento alla diversità e alla tolleranza (uno fra tutti Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni). Una decisione che ha anticipato di poco la discussione sulla legge Cirinnà sulle unioni civili e sulle adozioni gay, e di certo nessuno pensa che sia una straordinaria coincidenza.

L’unica nota positiva a questa tristissima iniziativa è stata la sollevazione ‘popolare’ che ha trasformato i libri da proibire indicati dal sindaco, in libri da leggere assolutamente.

« – La signoria vostra, signor curato, prenda e benedica questa stanza, perché non resti qui nessuno di quegli incantantori, dei quali sono pieni questi libri, e non facciano qualche incantesimo per vendicarsi di quello che gli stiamo facendo, scacciandoli dal mondo. – La semplicità della serva fece sorridere il curato, il quale ordinò al barbiere di passargli i libri uno alla volta, per verificarne il contenuto, perché, forse, poteva anche essercene qualcuno che non meritasse la pena del fuoco. […] Per primo mastro Nicola gli porse i Quattro libri dell’Amadigi di Gaula, al che il curato disse: – Sembra che siamo davanti a qualcosa di straordinario, perché a quanto ho sentito dire, questo fu il primo libro di cavalleria stampato in Spagna, e tutti gli altri che seguirono hanno avuto principio e origine da questo; e quindi mi pare che come capo di mala setta, bisogna condannarlo al fuoco senza remissione alcuna. – No, signore – rispose il barbiere – ho sentito dire che fra tutti i libri che si sono composti di questo genere, questo è il migliore, e perciò, come unico nel suo genere può meritare il perdono. – È vero – rispose il curato – e per questa ragione, per ora gli si salva la vita. Vediamo quest’altro che gli sta accanto. – Sono le Prodezze di Esplandián, figlio legittimo di Amadigi di Gaula – aggiunse il barbiere –  In verità – disse il curato – la bontà del padre non può valere per il figlio. Prendete signora serva, aprite quella finestra e gettatelo nel cortile e date inizio al mucchio per il rogo che si deve fare.»

(Cervantes, Don Chisciotte della Mancha)

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