L’equivoco della pancia

Gen 26

L’equivoco della pancia

Gli equivoci sono provocati da parole che portano diversi significati, oppure da situazioni non chiare, di cui ci sfuggono i contorni. Essi sono sollecitati anche da toni della voce che non riconosciamo e che mal interpretiamo, da mancati ‘accordi’ sull’argomento messo sul tavolo, in pratica dall’uso di codici di comunicazione diversi rispetto al nostro interlocutore. Agli equivoci si reagisce mostrandosi offesi e, a volte, aggressivi, o, al contrario, cercando chiarimenti. È necessario perciò che la nostra capacità di ascolto e la consapevolezza di ciò che stiamo vivendo – quello che abbiamo avvertito come un equivoco – ci porti a instaurare un dialogo diverso con chi ci sta davanti per uscir fuori da una situazione che ci crea un certo malessere. Per esempio.

Mi viene sempre da pensare che ci sia un equivoco di fondo, quando sento o leggo definizioni negative sull’ignoranza. L’ignoranza in sé non è ‘una brutta bestia’, o ‘la peggiore delle povertà’: esistono mille proverbi con i quali la saggezza popolare giudica, e ci fa giudicare, senza valutare i dettagli. L’ignoranza è la non conoscenza, la parziale o totale mancanza di istruzione, provocata da condizioni che non necessariamente sono volute . Tutti siamo ignoranti perché sappiamo poco del mondo in cui abitiamo e del quale non possiamo che cogliere, per ovvi limiti umani, solo alcuni aspetti. L’ignoranza diventa, invece, una brutta bestia quando vengono negati i problemi che derivano dalla non conoscenza e quando viene esaltata come fosse il modo giusto di vivere. Ecco l’equivoco. Non è il modo giusto di vivere. La consapevolezza di non sapere deve spingerci alla conoscenza; in poche parole, si tratta di applicare il famoso aforisma socratico: ‘so di non sapere’, e quindi sarebbe meglio che mi guardassi intorno per capire. Non dobbiamo diventare tutti intellettuali, dobbiamo sapere e capire ciò che ci accade per non doverlo subire. Certo che il non riuscire a farlo come vorremmo è fonte di frustrazione e di disagio, ma le opportunità che ci vengono offerte sono molte, e forse possono essere utili l’umiltà di ammettere alcune lacune e la determinazione per colmarle. Il non sapere ci rende passivi ed esposti a coloro che pur dichiarandosi ignoranti e vicino al popolo – che evidentemente ritengono ignorante – in realtà ne manipolano le coscienze.

Legato a questo, c’è un altro equivoco che si gioca sulla pancia. Su questa parte del nostro corpo che si stacca da noi e diventa una metafora. Chi dice che le reazioni di pancia devono essere negative, basse, senza vergogna e brutali? È il nostro istinto, è parte di noi, ma il nostro istinto non è animalesco o aggressivo. Alla pancia sono attribuiti tutti i pensieri di cui dovremmo provare vergogna. Ci autoassolviamo dando la colpa alla ‘pancia del Paese’, come se la pancia (e pure il Paese) non fosse la nostra.

Pancia e ignoranza, o meglio l’arroganza dell’ignorante per principio, vengono spesso associate, più o meno esplicitamente, ma non vi è un nesso. La nostra pancia, ‘di suo’, è altruista e socievole. Il nostro stato naturale, infatti, è quello della modalità “sociale”, quello che Daniel Dennett, filosofo e scienziato cognitivo, chiama “atteggiamento intenzionale”, un atteggiamento basato sulla comprensione e la connessione con gli altri, l’empatia e la collaborazione. Tali comportamenti ci appartengono fin da quando, piccolissimi, impariamo attraverso l’esperienza a socializzare con altri bambini e con gli adulti. Sono comportamenti istintivi, cioè sono di ‘pancia’. Quando cambia questa nostra capacità di stare con gli altri? Quando il contesto sociale e culturale ci porta a fare riferimento a persone autorevoli e a norme sociali basate su modelli con diverse modalità di relazione. Questi nuovi atteggiamenti non sono prodotti della pancia, bensì del ragionamento e sono esiti di scelte precise. Piuttosto il problema di questi nuovi punti di riferimento sta nel racconto fuorviante della realtà, che predilige storie di invasioni, complotti, disuguaglianze, chiusura e confini, se possibili concreti come muri, e che viene fatto passare come nuova norma condivisa di convivenza. Una norma alla quale ci adeguiamo e che cancella i sentimenti di vergogna che arriverebbero dalla nostra pancia. C’è un equivoco, non vi è dubbio. Forse conoscere, sapere, imparare sono attività che possono aiutarci a capire e a renderci capaci di cambiare qualcosa. Per esempio, per riprenderci la nostra ‘pancia’.

 

articolo apparso sul ‘Trentino’ il 24 gennaio 2020

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