Prima lezione di Codicologia: Marc Bloch, Danilo Dolci, Giorgio Raimondo Cardona

Nov 24

(le note che seguono sono appunti ordinati per un lavoro più ampio che spero di completare e mettere a disposizione in tempi non troppo lontani)

‘Non vedo i nessi…’, potreste obiettare: non si vedono nessi con la codicologia, lo studio dei libri antichi, non se ne vedono tra i tre nomi, quelli di uno storico, un sociologo-educatore (e scrittore e poeta, e molto altro…), un glottologo (storico, linguista, e, di nuovo, molto altro…), non si vedono nessi e dunque il perché. Ma ora, ça va sans dire, ve lo racconto.

Il corso che quest’anno ho proposto agli studenti dell’Università si sofferma su un aspetto particolare dello studio dei libri antichi, quello della valorizzazione, cioè della condivisione della conoscenza con chi non ne ha che un’idea parziale, nella migliore delle ipotesi. È evidente che trenta ore di lezione non sono sufficienti per comunicare e dunque imparare tutto ciò che ci sarebbe da sapere sulla codicologia e sulla didattica, oltre che per sperimentare ipotesi e soluzioni.

Credo sia necessario, dunque, lavorare per suggerire un metodo, per indicare gli strumenti che permettano di acquisire consapevolezze non solo ‘didattiche’, ma anche storiche (in un’accezione ‘esistenziale’, di scelta). Per fare questo, ho deciso di cominciare proponendo la conoscenza di questi tre uomini, suggerendo, cioè, quelli che secondo me potrebbero essere dei modelli.

Bloch, Dolci e Cardona hanno posto al centro dei loro interessi l’uomo, anzi gli uomini, le attività degli uomini, in cui sono comprese le relazioni e le loro dinamiche.

Con i loro studi e le loro parole, che rispecchiano in maniera sorprendente le loro scelte di vita, hanno dimostrato la complessità e l’importanza di affrontare il soggetto ‘uomo’, e l’imprescindibilità della storia per comprendere il presente.

Il motivo principale di questa mia decisione è l’ammirazione viscerale che nutro per questi uomini e per ciò che hanno insegnato, quindi il principale fil rouge che lega le loro esperienze è la mia sensibilità. Potete farmene una colpa? Lo studio, e non solo, non parte sempre da una scelta personale?

È una questione di scelta, di coscienza, che metto sul tavolo per poter discuterla. Ma che i giovani studenti debbano conoscerli, o approfondire la loro conoscenza, e anche avere l’opportunità di parlarne, questo mi sembra oggettivamente importante.

Il secondo motivo, sempre legato a me e alla mia attività di insegnante (mi perdonino gli insegnanti veri) è che nei miei studi ho imparato e interiorizzato anche le parole di tutti e tre questi personaggi, apparentemente così diversi, a dimostrare come sia fondamentale, e vitale, ampliare i propri orizzonti (nella piena consapevolezza dei miei limiti, naturalmente). Non è sufficiente leggere di storia del libro per conoscere la storia del libro e soprattutto per condividerla, è importante che la mente si abitui ad affacciarsi in altri cortili, dove si fanno altri giochi, dove scorrazzano altri animali…

Il terzo, che riguarda ancora me e anche se questo scritto trabocca di autoreferenzialità, voglio dirlo ugualmente, è che sono stanca di falsi maestri, da intendersi non solo come dispensatori di dottrine fuorvianti (da quali diritte strade?), ma anche come persone che nulla hanno da dire perché nulla sanno (sono?) e che si nascondono in luoghi in cui esercitano un potere, per esempio dietro una cattedra, o da un’istituzione culturale, da cui dispensano arroganza e informazione di dubbia utilità. Molto di personale, è ovvio. Ma ritengo che chi fa cultura abbia una responsabilità e che molti, oggi, questa responsabilità non la concepiscano nemmeno.

La lezione ha preso avvio da questa domanda: “A che cosa serve la storia?”, con cui inizia l’introduzione dell’ultimo libro scritto, e mai completato, da Marc Bloc, Apologia della storia o Il mestiere di storico, una domanda posta dal piccolo figlio e cui Bloch dice di non aver saputo rispondere in modo esauriente.

Per modestia, è chiaro, ma anche perché la richiesta ha generato in lui il turbamento di uno studioso onesto che si pone piuttosto il problema della legittimità dello studio della storia, e dunque della sua utilità.

Una ‘utilità’ che si deve verificare sui metodi, sui confronti, sulle riflessioni, sul proprio presente e la propria esistenza, come sul presente e l’esistenza di altri. Come è possibile capire l’oggi e ciò che siamo, senza conoscere la Storia, cioè il cammino fatto per arrivare a oggi?

A queste domande e riflessioni, ho aggiunto il racconto dell’opera di Danilo Dolci. Ho pensato che durante il corso si  lavorerà e si discuterà di didattica e di condivisione di conoscenze, e quindi che il suo pensiero e il suo agire potrebbero essere illuminanti.

È stato un uomo di grande spessore, ma oggi è ricordato e ri-conosciuto da pochi. Eppure, a mio avviso, il suo lavoro, il suo esempio, il suo insegnamento meritano di essere compresi più di quanto siano, soprattutto in questo momento storico, soprattutto fra i giovani.

Il tipo di approccio, cioè il modo di porsi, la capacità di mettersi in gioco che lui ha avuto, non è certo ‘sorpassato’ o legato a un contesto particolare, ma apre possibilità di riflessione di  non lieve entità. Molti dei suoi insegnamenti sono stati recepiti, ma poi il tempo, nuove riflessioni, nuove informazioni, anzi, un numero mostruoso e non più gestibile di ‘informazioni’, hanno reso le sue esperienze (gli effetti), come quelle di altri maestri, più attenuate, meno incisive, non necessariamente perché superate, ma perché non se ne ricordano più i motivi, le cause, le condizioni che le hanno provocate, e dunque non se ne ricorda più la forza e l’importanza.

Scrive Danilo Dolci: «Ho cominciato a porre domande perché non sapevo», e poi, «Dopo oltre 40 anni di lavoro, mi accorgo di come sia difficile sapere, prima delle risposte, anche quale sia esattamente la natura e il ruolo delle domande». Bloch si interroga sulla legittimità del proprio lavoro, Dolci imposta il suo metodo educativo sulla maieutica, continua a domandarsi e a domandare come e che cosa possa migliorare e rendere efficace, rendere giusto il suo impegno.

Dobbiamo cominciare coll’imparare a porre domande. Forse una volta certe domande sono state importanti perché erano ‘nuove’. Ora saper fare le domande è un’altra volta una novità, e anche un’urgenza. Il dialogo per la conoscenza è la ricerca di una risposta. Non è solo una conversazione. Chi fa le domande costruisce insieme a un interlocutore lo scambio per arrivare a una risposta. La differenza tra i due potrebbe stare nella capacità di porgere la prima domanda e di incalzare il ragionamento con le successive, che non tiene conto di una presunta conoscenza dell’interlocutore, ma della sua coscienza di essere in grado di costruire la risposta: una coscienza che, se manca, dev’essere sollecitata.

Di Giorgio Raimondo Cardona, è stato scritto: «fu un eccezionale personaggio non solo per la sua straordinaria dottrina, ma per il modo innovativo, creativo e accattivante di porre domande e suscitare problemi». Cardona è stato un glottologo, uno studioso della struttura delle lingue e dei loro elementi etimologici e strutturali, e non ha potuto fare a meno di indagare le parole, ma anche la loro scrittura e i loro segni. Ha studiato l’influenza di tali segni sulla vita degli uomini e sulle loro relazioni e tradizioni, spostando la riflessione storica dall’attenzione al nesso parola-segni, a quello pensiero-segni, elaborando una vera e propria Antropologia della scrittura (pubblicata nel 1981, e ora ristampata da UTET).

Il desiderio di conoscere, di studiare, il piacere di farlo, il piacere di condividere, questo di certo è stato un tratto comune a Bloch, Dolci e Cardona, ma questi tre uomini sono legati virtualmente dal medesimo sforzo di voler imparare a domandare.

Non è (solo) curiosità e piacere di conoscenza, è un appassionato, carnale slancio verso il desiderio di costruzione di una consapevolezza, di una coscienza attraverso l’interrogazione di persone, di documenti (scritti da e per persone), che parlano lingue e che usano segni, che tessono relazioni, che costruiscono la storia, cioè la (loro) vita.

Tutti e tre sono stati elementi di rottura con un passato, con un metodo storico, con un metodo educativo che non poteva più essere soddisfacente. Ecco perché ho parlato di questi tre personaggi. Ho bisogno di re-imparare a domandare, i libri, le fonti, ma soprattutto le persone, la storia, la mia, e anche la nostra. È necessario re-imparare a osservare, senza preconcetti, senza abitudini, senza presunte conoscenze.

Ho bisogno di imparare a insegnare quanto sia fondamentale saper domandare e saper osservare. Non per indagare la storia del libro, anche se si può sempre cominciare da lì, anzi direi che i libri siano uno straordinario punto di partenza, ma per cercare di capire quello che siamo e quello che siamo con gli altri.

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Giorgio Raimondo Cardona, Antropologia della scrittura, Torino, UTET 2009

Apr 26

«Tebe dalle sette porte, chi la costruì?» si chiede l’operaio lettore brechtiano. «Ci sono i nomi dei re dentro i libri, ma sono stati i re a trascinarli, quei blocchi di pietra?». Così ha inizio il libro Antropologia della scrittura, di Giorgio Raimondo Cardona. Non è certo il primo, né l’unico a ricordare le parole di Brecht e a farle proprie. E’ ormai chiaro che sia questa la prospettiva giusta per avvicinarsi alla Storia, per renderla più interessante e viva, per conoscere il mondo passato e spiegarsi il nostro. La Storia è anche l’opportunità che noi abbiamo per imparare a fare le domande giuste e a porci criticamente verso le cose della vita, non solo nello studio. Possiamo dire che può aiutarci a imparare a pensare.

Giorgio Raimondo Cardona (1943-1988) era uno straordinario studioso. Insegnava  glottologia alla Sapienza di Roma, ma era anche linguista, antropologo, storico. Un raffinato intellettuale che ha scritto pagine (troppo poche) da cui tutti non possono che imparare, e soprattutto godere della genialità e della vivacità intellettuale dell’autore. Quello che più mi colpisce è la passione del suo lavoro che si avverte nella lettura e che emoziona. Una passione che Cardona condivide generosamente con le sue ricerche, provocando e suggerendo domande con una acutezza davvero rara. In questo libro, in particolare, parla di ogni forma di comunicazione scritta, del legame tra la tradizione orale e quella scritta, ma soprattutto dell’uomo che cerca simboli e lettere per esprimere tutto ciò che fa parte del suo mondo interiore e della sua realtà. Il mio entusiasmo e la mia curiosità per i suoi scritti non riguardano solo gli argomenti, che mi sono congeniali, ma quella sua passione mi prende il cuore e la mente e studiare diventa per me fonte di gioia.

Giorgio Raimondo Cardona, Antropologia della scrittura, Torino, UTET 2009

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